Pipeline oncologica trainata dalle small-cap

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È pratica comune per le aziende biofarmaceutiche nascere come entità private e poi diventare società pubbliche, una volta che i loro principali prodotti in pipeline raggiungono la fase di sviluppo clinico. Un passo fondamentale per accedere a capitali di investimento consistenti per condurre gli studi clinici che sono molto costosi.

Un’analisi condotta dal Pharma Intelligence Center di GlobalData rivela che le small-cap, società pubbliche a piccola capitalizzazione – in questa definizione rientrano le società con capitalizzazione di mercato compresa tra 300 milioni e 2 miliardi di dollari – sono responsabili del 24% dei 7.136 programmi oncologici presi in considerazione dalla ricerca. Seguono le micro-cap con il 21% e le large-cap con il 17%.

Il segmento delle small-cap è caratterizzato da una forte presenza di aziende con sede in Cina. Le aziende asiatiche rappresentano il 35% di questo segmento, ad appena 3 punti percentuali dalla quota del 38% detenuta dalle aziende statunitensi..

E le mega-cap? Tra le 42 aziende prese in considerazione dallo studio di Global Data, Bristol Myers Squibb, Roche e Novartis emergono come i principali sviluppatori di farmaci oncologici.

Per questo segmento di aziende va sottolineato che un singolo farmaco può essere incluso in più programmi di studio, in virtù, per esempio, dell’espansione dell’uso terapeutico in diverse tipologie di tumori, popolazioni di pazienti o aree geografiche.

Ciò comporta che il numero totale di programmi oncologici non coincida perfettamente con il numero di farmaci effettivamente in corso di sviluppo; inoltre le grandi aziende tendono ad investire in un maggior numero di programmi per i loro asset più promettenti, generando un surplus di studi rispetto ai farmaci in pipeline.

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